SpeakOut CasaIntDonne -O.W.

Il 20 gennaio 2018 alla casa internazionale delle donne è stato organizzato un evento da  Spazio Incontro dal titolo “sex work is work. Riflessioni sul sexwork, tra stigma e autodeterminazione”.
Altri interventi qui.

Introduzione di Barbara Bonomi Romagnoli:
“Il prossimo intervento invece è stato, come dire,  affidato ad una compagna che molte di voi conoscono che generosamente si è resa disponibile ad interpretare  alcuni vissuti, alcuni pezzi di vita che le ombrette, così si chiamano tra loro le amiche di Ombre Rosse, non possono condividere con noi di persona proprio per il discorso che finora è stato toccato velocemente, che è la questione dello stigma, lo stigma che crea pesanti ripercussioni nelle loro vite non solo a loro stesse ma anche a tutte le persone coinvolte nelle loro esistenze, compagne e compagni, figlie e figli, madri e padri e quindi  esporre loro stesse oggi significa esporre anche le persone a cui sono legate. Ed è questo diciamo un motivo che le frena dal raccontare direttamente le loro storie; alcune hanno un doppio lavoro quindi esporsi in prima persona significa avere ripercussioni sul fronte professionale, e magari quel secondo lavoro è quel lavoro a cui sono arrivate pagandosi gli studi facendo le sexworkers, e questo chiaramente crea anche una situazione dolorosa, di frustrazione. Per cui ringraziamo maggiormente Silvia Gallerano che darà voce, corpo e presenza a queste righe.”


«Intervengo perchè credo sia importante condividere vissuti. Perchè ritengo che solo partendo da sé si può dare un contributo. Io ho scelto di lavorare come sexworker da adulta, dopo un percorso femminista che mi ha dato la possibilità di ragionare sul mio stare al mondo, un ragionamento che non si è concluso perchè continuare a stare al mondo significa anche rimettersi continuamente in discussione, almeno per me. Credo che la pratica femminista dell’autocoscienza sia uno strumento potentissimo di incontro nelle alterità, di crescita, di consapevolezza e di riconoscimento. Quindi innanzitutto voglio ringraziare tutte le donne che mi hanno dato l’opportunità di confrontarmi da pari senza giudizio e dico proprio tutte, sia quelle con cui mi trovo più vicina per esperienze e visioni, sia quelle che con le loro scelte diverse dalle mie e con le critiche costruttive mi continuano a mostrare altri punti di vista ed arricchiscono il mio sguardo e il mio percorso. Grazie. Senza di voi non sarei quella che sono.
Spenderò solo qualche parola sul perchè ho fatto questa scelta lavorativa, so che il tempo è poco e ci sono molti interventi.

Di certo ho sempre ritenuto problematico il mondo del lavoro, non ho voluto costruire un percorso che offrisse sbocchi lavorativi che sono considerati per il sentire comune “socialmente accettabili”. A dirla tutta ho maturato un’atteggiamento diffidente per il valore che si da al lavoro in un contesto capitalista e di sfruttamento in cui sono convinta che tutte e tutti viviamo. Per vissuto personale avrei anche potuto inserirmi in qualche modo in una dimensione lavorativa socialmente accettata, ma proprio non mi corrispondeva.

Prenderò in considerazione due punti:

Il primo sicuramente è  il “lavoro dipendente”, il lavoro dipendente mi ha sempre provocato problemi, troppo spesso mi è capitato che qualcuno in posizione di potere rispetto a me avesse atteggiamenti prevaricatori e altrettanto spesso arrivavano da parte maschile attenzioni non desiderate o peggio. Frequentemente in modi piuttosto subdoli.  Ho sempre trovato tutto questo insopportabile. Profondamente insopportabile per me. Senza parlare del riconoscimento economico pietoso che pure è stato un aspetto rilevante: non ho intenzione di nascondermi dietro un dito, lavorare sessualmente  permetteva di gestire il tempo in relazione alle entrate.

Il secondo punto riguarda  il non voler sfruttare o sgomitare per aver successo, ugualmente non è qualcosa che fa per me. Per niente. Peggio che mai in un contesto dove i parametri sono la disponibilità, i favoritismi o altri tipi di scambio sottobanco. Quindi ho iniziato a pensare a qualcosa che potessi gestire in autonomia, senza dover dar conto a nessuno/a, senza dover competere con miei/mie pari, senza dovermi far notare per brillantezza, bella presenza o capacità di PR. Questo è stato per me il primo passo. Vendere prestazioni sessuali è qualcosa che non richiede necessariamente un certo tipo di autopromozione, è un lavoro che si può gestire in tanti modi. Il lavoro sessuale rappresentava un compromesso per me accettabile, perchè contrattato senza troppi ammiccamenti e perchè autogestito.

Poi offriva anche la possibilità di avere contezza immediata e in chiaro di quello che viene definito scambio sessuo(-affettivo)-economico, elemento che -come sappiamo- pervade il mondo del lavoro e anche molte relazioni, in particolare quelle etero, se devo essere esplicita. La divisione sessuale del lavoro rappresenta ai miei occhi una delle espressioni di questo scambio sessuo(-affettivo)-economico. In un certo senso per me scegliere il lavoro sessuale era anche mettere in chiaro le cose. Preferisco che sia evidente lo scambio economico, preferisco confrontarmici in modo diretto e cercare di tenerlo fuori il più possibile dalle mie relazioni, a meno che non sia mutuo-aiuto dichiarato e deciso insieme tra le parti. Che è tutta un’altra storia e che si può benissimo fare anche senza lavorare sessualmente, certo.

Un altro aspetto che trovo rilevante nell’ esperienza del lavoro sessuale è quello relativo proprio al rapporto con la sessualità e con il proprio corpo. Credo sia importante mettere sul tavolo la questione anche se difficilmente si riuscirà mai ad essere esaustive. E’ evidente che lavorare con il proprio corpo è qualcosa che porta con sè degli aspetti peculiari. Ogni lavoro ha delle  peculiarità, delle sue caratteristiche specifiche/particolari in effetti. Lavorare con il corpo significa tantissime cose tra cui condividere qualcosa di intimo. Questo è vero per il lavoro sessuale, come per altri lavori che mettono in gioco corpo, sensazioni e relazioni. Per chiarezza oltre al lavoro sessuale, prima, durante e  dopo ho fatto e faccio altro, continuo quindi a parlare a partire da me, per la mia esperienza. Molti lavori “di cura” prevedono intimità corporee e non solo, molti lavori performativi prevedono espressione corporea e  interpretazioni che hanno radici nella sfera dell’intimo. Ad esempio recitare o leggere un brano mettendoci dentro delle emozioni. Sono esperienze che permettono di essere presenti a sé stesse e contemporaneamente di modulare il tipo di coinvolgimento. Succede qualcosa di simile nel lavoro sessuale. Ovviamente dipende sempre da come si impostano le cose e dal tipo di possibilità lavorative che si hanno. In altri termini il potere contrattuale che si ha. Come nel campo dello spettacolo: si può interpretare un ruolo che per noi significa qualcosa ma molto spesso capita di mettere in scena qualcosa che proprio non ci appassiona. D’altra parte bisogna pure fare cassa e poi lavoro chiama lavoro. Spesso sento parlare di “banalizzazione” della sessualità o di alienazione. Se fossero automatici questi slittamenti dovrebbe essere vero anche per i sentimenti interpretati, per l’accudimento di persone a pagamento, per tutte , per tutte le intimità. Inoltre, forse  vale la pena sottolineare che la personale scala di intimità e valori che assegnamo alle diverse sfere dell’esperienza è comunque soggettiva. Banalizziamo? Ci alieniamo? Certo è un rischio in questo lavoro come in tutte le professioni che prevedono intimtà e sta ad ogni singola persona scegliere nel modo il più libero e consapevole possibile cosa si vuole mettere in campo nel mercato del lavoro.

Sarebbe bello poter discutere con calma di questi aspetti del lavoro sessuale come delle molteplici criticità e spero sinceramente che quanto vi sto raccontando sia un primo passo in questo senso. Mi sembra superfluo e banale dirlo, ma certamente di criticità ce ne sono moltissime sul lavoro sessuale e anche sul lavoro in genere a cominciare dal contesto patriarcale in cui tutte e tutti ci muoviamo nostro malgrado. In questa occasione però volevo soffermarmi nel modo più semplice sul fatto che è possibile, più che possibile, che delle donne scelgano il lavoro sessuale e che il femminismo prenda atto di questo. Quasi tutti i lavori prevedono contraddizioni, aspetti in cui ci si sente a proprio agio e  altri in cui proprio non ci si trova e per quanto riguarda le donne molto spesso ci si trova in ruoli previsti per loro dalla cultura patriarcale, sicuramente il lavoro sessuale, ma anche quello di cura e quello riproduttivo sono i territori dove le donne sono maggiormente confinate. Detto questo, ed è qualcosa su cui dovremmo ancora riflettere insieme, ognuna si misura con le proprie contraddizioni, dal proprio posizionamento ed è in grado di operare delle scelte rispetto a quello che è più sostenibile per sé stessa. Quello che io credo sia definitivamente importante è riconoscere la capacità di consapevolezza nelle scelte delle donne, senza se e senza ma.»

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